LETTERA APERTA A W L’ITALIA, DI RAI TRE, DA LOCRI
di Casa della Legalità www.genovaweb.org
e DemocraziaLegalità www.democrazialegalita.it
Ci lascia sconcertati la caduta di stile con cui si è caratterizzata la puntata in diretta da Locri e che, conoscendo i fatti, ci ha fatto sobbalzare davanti ai teleschermi per alcune mistificazioni di fatti ed elusione assoluta da documenti ufficiali e atti d’indagine pubblici, e per certi messaggi pericolosi lanciati...
Ci è sembrato davvero stupefacente la superficialità con cui si è trattata la questione dei tempi e della procedura della giustizia, lunghi e confusa, da nord al sud del Paese, indipendentemente che l’Ufficio sia una sede disagiata o meno.
Il CSM ha già lanciato l’allarme da tempo su questo, sugli organici necessari ma disattesi dal Governo. La Procura Nazionale Antimafia e la DDA di Reggio Calabria hanno evidenziato da tempo i rischi di una nuova guerra di mafia in cui i mezzi, sempre più scarsi, della giustizia non permettono una risposta preventiva e, comunque rapida. Il Prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena, che ha avviato un lavoro importante e decisivo per un effettivo contrasto, culturale, civile, oltre a quello investigativo e giudiziario, che è stato “promosso” e verrà a beve trasferito a Roma. Il Prefetto Basilone, ex Vice Prefetto di Vibo Valentia, che ha coordinato i lavori di due Commissioni d’accesso che hanno scoperchiato le infiltrazioni mafiose in un Comune del Vibonese e nella Asl di Locri, portando al Commissariamento, anch’essa “promossa” e trasferita a Roma. Tutto questo non è stato detto, non è stato ricordato.
Magistrati e agenti dei reparti investigativi con sempre meno mezzi e strumenti a disposizione per un’azione concreta e provvedimenti legislativi che ostacolano, anziché aiutare, la difficile opera di contrasto alla ‘ndrangheta ed alle sue collusioni e infiltrazioni nell’economia cosiddetta “legale” e nelle Istituzioni. Questioni emerse solo dalle voci dei giovani magistrati della Procura di Locri e dalle interviste di De Magistris e Gratteri. Interventi chiari, inequivocabili e precisi, decisamente scardinati dal resto della trasmissione e, simbolicamente, evidenziati dal passaggio in cui il magistrato della DDA di Reggio Calabria era solo in mezzo ad una piazza vuota.
La cancellazione e mistificazione dei fatti è stata grave quando si è parlato dell’omicidio Fortugno, persino tentando di avvallare talune tesi con l’intervista al giudice di Catanzaro, De Magistris che invece non ne parlava! Una vicenda, quella dell’omicidio di Fortugno che è connessa – e non potrebbe non esserlo – alla Asl di Locri. Qui si è assistito ad un’azione di depistaggio informativo grave che ostacola il lavoro dei magistrati che stanno indagando su quei fatti e scoraggia, nuovamente, un risveglio delle coscienze in quella terra. Perché ? E’ semplice:
- la famiglia Laganà è stata “padrona” della sanità locrese per decenni, prima con Mario Laganà, poi con Maria Grazia Laganà e Francesco Fortugno;
- la Asl di Locri è stata infiltrata dalla ‘ndrangheta sino al midollo (nel personale, nei responsabili medici, nelle forniture e negli appalti) e ciò è avvenuto, come afferma la relazione della Commissione di Accesso – che ha portato al commissariamento -, solo grazie al favore dei funzionari dirigenti;
- Maria Grazia Laganà in quella Asl era Responsabile del Personale (e Vice Direttore Sanitario) e Francesco Fortugno era Primario (anche se poi, per lunghi anni in aspettativa per attività sindacale e politica);
- Le famose denunce di Fortugno erano alla fine (due) interrogazioni in Consiglio Regionale (e non i due faldoni mostrati in trasmissione);
- Maria Grazia Laganà dopo l’omicidio in interviste a televisioni e giornali negava che la ‘ndrangheta avesse mai avuto mire o infiltrazione nella Asl di Locri e che non c’era ragione per cui volesse uccidere suo marito, poi viene eletta e cambia il registro;
- Maria Grazia Laganà è indagata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria per il suo ruolo nella Asl di Locri e la sua istanza di passare l’indagine alla magistratura ordinaria è stata respinta;
- Maria Grazia Laganà accusa i giudici della DDA di Reggio Calabria di non aver fatto bene le indagini e di inerzia, però poi sottoscrive, con i legali che la rappresentano come parte civile, l’impianto accusatorio a carico degli attuali imputati tra cui i Marcianò, di cui lei ed il povero Fortugno, erano legati da forte amicizia.
Di tutto questo non si è sentito nulla. Omissioni gravissime che lanciano un messaggio pericoloso, inquietante, che cancella fatti, responsabilità e scredita pesantemente il lavoro dei magistrati della DDA di Reggio Calabria.
Si sono poi cancellate le vittime di mafia che hanno sempre collaborato con lo Stato, come i famigliari di Massimiliano Carbone e di Renato Vettrice, ad esempio. Due casi simbolo. Chi non si rivolge al politico, chi non si allinea alle famiglie forti della locride, è isolato, colpito e dimenticato. Famiglie che con le sole proprie forze, dal primo istante, non hanno avuto dubbi e si sono recate dallo Stato e non da cosche o politici.
Per Massimiliano Carbone la verità sta emergendo e la giustizia sembra ora più vicina, grazie ai valori ed all’impegno di sua madre, Liliana, che faceva e fa la maestra elementare di Locri e ha onorato, e non svilito, la memoria di Massimiliano. E’ anche la storia di una cooperativa nata senza padrini a Locri, nella terra dei Cordì e dei Cataldo, che quando è stato ammazzato Massimiliano è stata portata avanti con coraggio e forza da suo fratello, sempre senza padrini o protettori.
Per Renato Vettrice la strada sembra ancora lunga e chi aveva promesso aiuti, come il Ministro Mastella, il Presidente Loiero e la deputata Laganà, non hanno poi tradotto le parole in fatti. La moglie ed i suoi piccoli figli sono soli e l’unica offerta ricevuta era stata quella di un “fido” a tasso agevolato! Non un lavoro, non un sostegno concreto. Nulla.
Invece di raccontare queste storie, storie di vittime che per onorare i propri cari hanno scelto di chiedere Giustizia allo Stato e solo a questo, si è tentato di giustificare un comportamento grave – che certo non può giustificarne il tragico assassinio – come quello di Gianluca Congiusta che anziché denunciare la richiesta di pizzo allo Stato si è rivolto alla cosca mafiosa dei Commisso. Il dolore e la rabbia che i suoi cari, la sua famiglia, hanno provato e provano è sacrosanto e lo Stato gli deve giustizia, ma questa non può cancellare la verità dei fatti. Anzi quella verità dice che vi è un solo alleato di chi è vittima e cittadino, lo Stato, anche e nonostante i mille difetti che questo ha. Pensare di rivolgersi alla cosca mafiosa dominante o quella avversa fa entrare in un circuito di illegalità e morte, che non lascia scampo. Avvallare, come si è fatto, la mentalità per cui se lo Stato è lento o sbaglia, allora ci si arrangia e diviene, quindi giusto, rivolgersi alla mafia che è veloce e decisa, è una scelta folle.
Ecco, dunque, perché stupore e indignazione, disgusto spontaneo, davanti ai passaggi di quella puntata da Locri. Non un passaggio, ad esclusione di quello del giudice Gratteri, ad esempio, che ha evidenziato quando denunciato da tempo ormai memore da molti, sui Ragazzi di Locri. Spariti perché strumentalizzati dalla Politica, chi inghiottito nella nomenklatura, chi invece faceva parte del piano sin dal principio con gli slogan altisonanti, e chi invece, la grande maggioranza, tradito e disilluso, forse, questa volta, per sempre. Fatto sulle cui responsabilità non trova esenzione parte del sistema mediatico che ha, di fatto, assecondato la "violazione" di quello spirito autentico dei tanti, semplici, giovani locresi.
L’informazione dovrebbe essere quella sui fatti. Noi ci abbiamo provato e l’abbiamo fatto, certo a caro prezzo. Ma se si vuole contribuire alla Verità ed alla Giustizia, si deve guardare ai fatti concreti, si deve attingere ai documenti ufficiali e certi che hanno indagato e scavato nella realtà, distinguere l’errore – che chiunque può commettere – dalle scelte consapevolmente sbagliate. Ed allora anche lo spot pubblicitario su un libro (quello di Enrico Fierro, de l'Unità, di cui abbiamo già parlato) che nega i fatti, cancella la realtà di documenti e inchieste, che mistifica la realtà e la rovescia, è davvero deplorevole, anche se in linea coerente con l’impostazione data a questa trasmissione “in diretta da Locri”.
Un brutto esempio di giornalismo che contribuisce a consolidare quelle logiche che a parole e titoli cubitali si impegna a contrastare.
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