Marchettari all’assalto… il libro di Fierro,
trionfo della disinformazione (o del depistaggio?)
Enrico Fierro, il “cosiddetto giornalista” de l’Unità che si occupa di mafia, dopo aver sferrato in diverse occasioni le difese d'ufficio e dopo le sue ultime boutade d’opinione avverse ai fatti rispetto al caso Fortugno, Laganà e Asl di Locri, conferma il suo ruolo di penna china alla disinformazione, capace di cancellare i fatti, mistificare la realtà, nel fine evidente di asservire il bisogno degli uomini di partito, della nuova classe dirigente del Partito Democratico (Diessini e Margheritini)...
D’altronde il berlusconismo, in campo di giustizia, ha proliferato e contagiato, tanto che oltre alla conferma di tutte le leggi vergogna, l’Unione ha superato il maestro (Silvio) e varato l’indulto, inventato le ispezioni preventive (per andare oltre al Ministro dell’InGiustizia Castelli) e si sta apprestando ad approvare il bavaglio – che nemmeno Dell’Utri e Previti speravano – all’informazione in materia di giustizia, sotto la bandiera (falsa) della privacy e delle intercettazioni illegali. Ed allora perché mai un buon “giornalista di partito” non dovrebbe adottare la stessa logica dei “giornalisti di Berlusconi”? D’altronde se ha funzionato benissimo con Berlusconi, Previti, Dell’Utri, Andreotti (ed altri), il raccontar (ripetere e ripetere) cento e mille volte bufale abnormi per farle credere vere e reali, perché non dovrebbe anche funzionare per gli esponenti del centrosinistra? D’altronde i fatti in Italia non contano, ormai è chiaro! Grazie al servilismo di cosiddetti giornalisti, Giulio Andreotti è Santo, nessuno sa che è stato riconosciuto mafioso sino al 1980. Grazie a questi marchettari di partito, Bettino Craxi era un esule, praticamente nessuno ricorda che era un latitante sfuggito agli arresti rifugiandosi all’estero. Grazie a questi mascalzoni travestiti da giornalisti, Bernardo Provenzano è solo un povero vecchietto, praticamente abbandonato, e nessuno considera che questi ha tessuto legami con i più alti livelli istituzionali del Paese (tra destra, centro e sinistra), che sono essenziali al potere di quella Cosa Nostra che è riuscito, nel frattempo, a insabbiare benissimo tra i colletti bianchi in giacca e cravatta. Ed ora Fierro vuole porre la “verità” utile al partito (ed ai legami con i poteri occulti e criminali di questo) sull’omicidio di Franco Fortugno, sulla vedova Laganà, sull’Asl 9 di Locri e su una classe politica calabrese collusa ed in affari con le cosche della ‘ndrangheta. Sul banco degli imputati sono posti i magistrati, naturalmente e la sentenza su questi casi è scritta - ma guarda un po’ - dalla politica.
Purtoppo abbiamo dovuto spendere 16,50 euro per poter constatare questo, al fine di leggere questo “Ammazzàti l’Onorevole”. Libro che, secondo la recensione dell’altro “cosiddetto giornalista” de l’Unità, collega del Fierro, , doveva anche contenere la pubblicazione integrale di un documento inedito: “ la Relazione della Commissione d’Accesso alla Asl 9 di Locri”, ossia la Relazione Basi l one. Peccato che:
1) non sia una pubblicazione inedita questa Relazione, visto che DemocraziaLegalità (il periodico on line di Elio Veltri), noi ed altri come
– ad esempio - la Radio de Il Sole 24 Ore o il portale internet di Repubblica, abbiamo pubblicato, subendo un sequestro (fatti di cui l’Unità non ha mai parlato – nonostante solleciti, a parte un articolo - caduto nel vuoto – di Marco Travaglio nella sua rubrica il 28 ottobre 2006 ed il nostro speciale);
2) della Relazione Basilone (183 pagine! - ancora ) nel libro di Fierro non vi è praticamente traccia. Ci sono alcuni stralci, qua e là, pochissime battute sono riportate. Scelte (e tagliate) accuratamente per non confutare la tesi del marchettaro-giornalista, che se l’avesse pubblicata integralmente si sarebbe visto smentire il suo “saggio” da questo stesso documento.
Anche sulla scelta dei vocaboli siamo messi male visto che, ad esempio, per rivolgersi agli agenti dello Stato preferisce usare il termine “sbirri”, tanto amato da criminali e mafiosi. Ma entriamo un po’ nel merito della disinformazione prodotta da Fierro, vedendo anche qualcuno dei fatti reali che sono grandi assenti di questo libro. Tanto per dare l’idea e soprattutto perché sia chiaro quel tentativo palese, da parte di Fierro (e l’Unità), che attraverso un azione capillare di disinformazione produce l’ennesimo tentativo di depistaggio dell’opinione pubblica, negando quel contributo necessario all’azione per la verità e la giustizia, che non solo la Magistratura , ma il Paese tutto, merita di raggiungere.
Per Fierro era normale che Fortugno, Maria Grazia Laganà e Mario Laganà (padre di Maria Grazia) parlassero al telefono (utenze fisse e mobili) con noti esponenti della potentissima cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti. “Non sono molte 31 chiamate tra due colleghi che lavorano nello stesso ospedale. E’ il dramma della “contiguità”. Del vivere gomito a gomito con la mafia. Che a Locri incontri giorno per giorno” (pag. 152). Normalissimo per il marchettaro-giornalista perché non avevano ancora avuto una condanna ed anche se si sa che sono mafiosi, si è sempre colleghi o vicini di casa. Che poi Pansera (genero e compagno anche di latitanza di "u tiradritto") lavorasse all’ospedale di Melito Porto Salvo e non a Locri, è una quisquiglia, sono solo due Ospedali, due Asl diverse. Che poi le indagini – addirittura della procura di Milano sulla cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti - fossero aperte dal 1999 non conta, è un particolare irrilevante, per i Fortugno-Laganà. E poi lo ha detto la signora Maria Grazia: non c’è nulla di male. Quindi c’è da crederle, no?! E poi è vero che le telefonate di cui parlava il Corriere della Sera non siano entrate nel procedimento a Milano per i reati commessi su quel territorio, in quanto erano state trasmesse alla sede di competenza territoriale, in Calabria. Ma questo è un buco nero, per Fierro le “competenze giudiziarie territoriali” non contano!
Secondo Fierro poi la potente famiglia Laganà è degnissima, solo un po’ chiacchierata, nulla di più. “Mario Laganà, il padre di Maria Grazia, sua moglie, è stato per anni deputato della democrazia cristiana, suo fratello consigliere e assessore alla regione. Uomini di potere, collettori di voti e consenso ai pezzi grossi della Dc calabrese. Una famiglia spesso al centro di discussioni, ma mai chiacchierata per rapporti di tipo mafioso” (pag. 112). Peccato che si sia dimenticato alcuni particolari. Premesso infatti che in terra di mafia, come la Calabria , si sa chi controlla i voti non ha minimamente rapporti o intrecci con i capi mafia (sic!), si è dimenticato, per esempio, di sottolineare che Mario Laganà è stato per decenni il rais della Usl – poi Asl di Locri, dove erano assunti e promossi mafiosi e figli di boss, incaricate di forniture e appalti ditte della ‘ndrangheta, che è subentrato alla Camera in surroga a Ludovico Ligato, e che la Camera autorizzò a procedere nei suoi confronti per gravissimi reati commessi in concorso con altri. Si è anche dimenticato di dire che il fratello di Mario, Guido, è stato si anch’esso potente democristiano, consigliere e assessore regionale, ma è anche stato sottoposto a misure cautelari e arresto per condanne in merito a truffe in finanziamenti pubblici. Tutte bazzecole, ovvio, ce lo dice Fierro nascondendole! (clicca qui e pure qui)
”Un lungo elenco di morti ammazzati. 1979: viene sequestrato il medico Francesco Morgante. 1988: Gino Marino, primario di chirurgia, viene ammazzato all’ingresso dell’Ospedale [...] 1995: notte di San Silvestro, viene ucciso un rappresentante di medicinali. Pochi anni dopo tocca alla moglie di un Pediatra, freddata davanti al portone di casa.” (pag. 116). Qui sembra proprio che Fierro abbia voluto parlare di quanto anche Lucia Annunziata ha chiesto a Maria Grazia Laganà pochi giorni dopo l’omicidio di Fortugno. Era il 30 ottobre 2005, su Rai 3, trasmissione “in ½ h”. Alla domanda su 5 omicidi nell’ambito della Asl di Locri, Maria Grazia Laganà rispose: “Guardi, l’ospedale io non mi sento di...La sanità in genere, tutti gli ospedali in tutta Italia hanno delle grosse sofferenze… l’ospedale di Locri era l’indotto per la nostra zona, era la Fiat di Torino, ha dato lavoro a molta gente, e purtroppo la realtà della nostra zona non possiamo nasconderlo è una realtà difficile e quindi anche queste cose questi episodi sgradevoli sono in effetti successi ci sono stati omicidi di medici anche di paramedici, qualche volta anche di qualche paziente che era ricoverato”.
Come mai, il bravo Fierro, non ha riportato questa chiara spiegazione per quei morti ammazzati? Chissà, forse perché qualcuno nell’incarico datogli lo ha richiesto? Ecco allora perché si è anche dimenticato di dire che, nella stessa trasmissione dove si parlava di morti ammazzati come “episodi sgradevoli” di tutte le Asl d’Italia (Laganà pensiero), alla domanda “C’è un clima di intimidazione?” la signora ha risposto “Personalmente non ho mai avvertito… con la mia professione non ho mai avuto dei problemi… il mio ruolo è quello della gestione del personale e rilascio degli atti sanitari quindi ho rapporti con il pubblico ma in maniera limitata” ed ancora, alla domanda “Visto che l’ospedale è l’equivalente della zona della Fiat, che ha portato benessere occupazione… è entrato nel mirino dell’interesse della ‘ndrangheta? La signora ha risposto seccamente: “NO!!!”. Forse Fierro avrà perso la puntata, avrebbe potuto consultare l’archivio della Rai (è anche on line), ma era chiaro che riportando questo come altro che abbiamo riportato nel nostro speciale sui casi in questione (clicca qui), avrebbe dovuto parlare di fatti, rinunciando alla mistificazione ai propri fini ed a tutela dei suoi “padroni”.
Guardiamo ad un passaggio della Relazione Basilone, riportato nel libro.”L’attività della Asl 9 ha fortemente risentito del tessuto socio-economico e delle pressioni malavitose esercitate sul territorio, al punto di far divenire l’Amministrazione sanitaria un rilevante centro di imputazione sul quale si sono centrati gli interessi della criminalità e perpetrata una diffusa compressione, se non una forte intimidazione, della autonomia dell’ente. Ne è conseguita un attività dell’amministrazione sanitaria non sempre ispirata ai criteri di buon andamento e di imparzialità, e anzi spesso ben lontana dalla applicazione delle regole di giusto procedimento di legge perché soggetta alle pressioni che ne hanno compromesso il regolare funzionamento. In generale tale compromissione è risultata evidente proprio, e non a caso, nei settori della spesa e quindi dell’utilizzo delle risorse economiche pubbliche, che venivano impiegate senza il rispetto delle norme vigenti, lasciando ampiamente intendere un uso clientelare della spesa.” (pag. 123). A parte un piccolo taglio (non segnalato dalla consueta parentesi e puntini) la cesoia ha eliminato un particolare che chiarisce di quale precisione sia la Relazione Basilone ; infatti quello che manca è, in riferimento alle pressioni malavitose, il passaggio: “delle quali fin qui si è data ampia ricostruzione”. Ma il particolare più rilevante è l’aver troncato il discorso, omettendo di riportare su quali livelli abbia agito e relazionato la Commissione , per constatare l’infiltrazione mafiosa. Manca la conclusione del ragionamento esposto dalla Dott. Basilone, che è: “Si è ritenuto opportuno procedere ad una separata disamina di tali settori, secondo i tre macro aggregati della spesa del bilancio che impegnano l’attività amministrativa: a) gli accreditamenti; b) l’attività contrattualistica (con particolare riferimento alle privative industriali); c) il personale”.
Certo se avesse messo questo passaggio sarebbe stato evidente sia il ruolo dei Primari, tra cui Fortugno, sia soprattutto quello della signora Maria Grazia Laganà che era Vice Direttore Sanitario e Responsabile del Personale, nonché anche quello di Mario Laganà.
Mancano, nel libro di Fierro, soprattutto le conclusioni della Relazione:
“Preliminarmente si evidenzia che l’esigenza di rispettare il più possibile il tempo assegnato ha determinato, per la Commissione , la necessità di effettuare una selezione di argomenti e di attività amministrative da analizzare.
L’attenzione è stata così rivolta sulle tre macro-attività nelle quali si concentra la spesa dell’A.S.: gli acceditamenti; la gestione dell’attività contrattuale; il personale. In ogni caso, una valutazione complessiva del lavoro svolto, ha determinato la convinzione che gli indizi raccolti in ordine alla esistenza di una infiltrazione della criminalità organizzata, hanno dimostrato la compromissione del regolare legittimo andamento della gestione della cosa pubblica.
Infatti è apparso rilevante che l’analisi degli elementi raccolti – anche indiziari – ha condotto alla ragionevole possibilità che, per il modo complessivo di atteggiarsi dell’A.S., si siano di fatto determinati condizionamenti che hanno indotto l’Ente a comportamenti non consoni alla cura degli interessi pubblici, allo stesso demandati dall’ordinamento giuridico.
Peraltro la presenza all’interno dell’A.S. di personale, medico e non, legato da stretti vincoli di parentela con elementi di spicco della criminalità locali o interessati da precedenti di polizia giudiziaria per reati comunque riconducibili ai consolidati interessi mafiosi, ha permesso di verificare non solo la presenza di un “contatto” tra le organizzazioni malavitose e l’Azienda, bensì una vera e propria “infiltrazione” in quest’ultima.
In altri termini, il quadro indiziario dal quale si è desunta l’esistenza di una pressione dall’esterno della ‘ndrangheta trova la sua continuità nel condizionamento che sulle scelte gestionali e di indirizzo la stessa organizzazione ha potuto esercitare dall’interno attraverso la presenza di personaggi quanto meno permeabili.
Tale prospettazione che emerge dagli accertamenti, è confermata dalla sistematica omissione dell’A.S. nell’attivazione di procedimenti disciplinari nei confronti di dipendenti gravati da precedenti penali, avallata dalla scelta di non ricostituire la commissione di disciplina che difatti è da tempo inattiva.
A ciò aggiungasi che le pronunce di interdizione dai pubblici uffici emesse dall’Autorità Giudiziaria rimanevano ineseguite, o eseguite a distanza di molti anni, così consentendo la indebita prosecuzione del rapporto di impiego con personaggi di dubbia moralità che in tal modo - non si può escludere - potevano continuare a ricoprire un ruolo di collegamento tra l’Azienda e la criminaliatà.
Il quadro che emerge fa ragionevolmente presumere che forze mafiose locali si siano infiltrate nell’area dell’istituzione sanitaria, e sovrapponendosi ai rispettivi organi abbiano potuto minacciare la serenità nelle scelte decisionali di fondo in modo tale da non poterle più ritenere riconducibili all’autonoma e consapevole volontà dell’Azienda Sanitaria.
Ciò ha consentito la reiterazione dei comportamenti dell’A.S., sui quali ci si ampiamente soffermati nella relazione, che chiariscono l’esistenza di quel quadro indiziario di condizionamenti nella gestione della cosa pubblica che, nel suo complesso, risulta ispirata ad un deviato fine dell’esercizio dell’azione amministrativa e degli interessi della collettività.
È apparso evidente che i settori della spesa pubblica sono dirottati verso strutture private accreditate che hanno potuto indebitamente beneficiare di introiti talvolta pari anche al triplo di quello determinato con i tetti sanitari.
E non può non escludersi, data anche la enorme mole delle prestazioni erogate da tali strutture, che l’incremento del ricorso alle strutture accreditate sia stato in qualche modo incentivato, o comunque non arginato dalla stessa amministrazione sanitaria.
In tal senso va letta anche la non verosimile quantità di prestazioni che spesso alcune strutture hanno dichiarato di aver reso, alle quali è conseguito un esorbitante pagamento delle fatture che non sarebbe stato evidentemente possibile se fosse stato attivato un monitoraggio, se non addirittura una verifica generica che avrebbe consentito di far emergere ictu oculi l’impossibilità di erogare un numero così elevato pro capite e pro die.
La sistematica violazione delle regole di buon andamento ha poi, come ampiamente detto, trovato ulteriore riscontro nella perdurante inapplicabilità delle regole di evidenza pubblica nella scelte dei contraenti e più in generale nell’attività contrattuale con particolare riferimento alla privativa industriale ed agli acquisiti a mezzo delle reiterate proroghe, rinnovi ed acquisti fiduciari.
In estrema sintesi, ed in conclusione, da un lato, si è riscontrata un’arbitraria occupazione da parte della criminalità locale organizzata, e dall’altra una compressione dell’autonomia dell’A.S. la cui volontà è risultata fortemente diminuita.”
Tutto questo per Fierro non esiste! Ma un giornalista non deve dare conto dei fatti? Si, ma per Fierro no, lui è un “cosiddetto giornalista”. Non può mica smentire la signora Maria Grazia Laganà che ha detto e ripetuto che sulla ASL di Locri non vi era alcun interesse mafioso, che – assolutamente – non vi erano mai state pressioni da parte della ‘ndrangheta. Non può mica dire che quanti vengono oggi portati e presentati come i grandi accusatori della mafia (Fortugno e Laganà) erano, invece, perfettamente inseriti in quel contesto! Altrimenti come farebbe a paragonarli a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o Pio La Torre ? Certo che non lo può dire è un marchettaro di partito, ma almeno non si spacci (o lo si spacci) per il portatore della verità! Un minimo di decenza.
Fierro riesce in questo intento di mistificazione della realtà, accertata dei documenti ufficiali nero su bianco, cancella non solo fatti, ma ne manipola alcuni per depistare accuratamente. Infatti se da un lato nega le responsabilità dei Fortugno-Laganà in quella ASL (infiltrata e condizionata sino al midollo nella gestione amministrativa, finanziaria e del personale), arrivando a cancellarle, supera se stesso nell’indicare il capo-sala come il vero padrone della Asl 9 di Locri. Vediamo: “Santo ora sa di rischiare di perdere la faccia in quell’Ospedale dove ha regnato sempre da padrone. Il suo mondo si sta sbriciolando” (pag. 232). Qui Fierro si riferisce ad Alessandro Marcianò. Lo presenta come il boss dell’azienda. Ma Alessandro Marcianò era un capo-sala. Come faceva a comandare? Fortugno che era primario del Pronto Soccorso era succube di costui? Maria Grazia Lanagà, responsabile del personale come Vice Direttore Sanitario, era piegata alla volontà del caposala della porta accanto? Loro così inclini alla legalità ed alla lotta alla mafia l’avrebbero denunciato, no? A tutto questo una risposta c’è ma Fierro la dimentica. Fortugno e Laganà erano amici intimi dei Marcianò, tanto da essere anche compari d’anello al matrimonio di Giuseppe Marcianò. In Calabria certe cerimonie sono importanti, pesano. Forse Fierro non lo sa, provi a chiederlo alla Laganà! Anche di questo ne avevamo già parlaro (e l'avevamo fatto anche con Fierro!) - clicca qui
Quindi passa al racconto di Maria Grazia Laganà, rispetto al periodo della formazione delle liste. “In quei giorni di vigilia elettorale, Maria Grazia Laganà è tesa. La candidatura di Crea non la convince, ha come un presentimento, sa che quelle non sono elezioni normali. “Mi ricordo che feci qualche osservazione, così, forse per impeto, all’onorevole Oliverio. Gli dissi guarda Nicodemo non so come andranno a finire queste elezioni, però non vorrei che ci fosse… non so chi potrebbe essere il primo dei non eletti, se mio marito bene, voglio dire non ho nessun problema, ma se dovesse essere qualcun atro di cui non ho sospetti sull’individuo, sul candidato, ma sui contorni che potrebbero esserci io ho un po’ di paura…” (pag. 227). Ecco intanto se questa è una “ricostruzione precisa”, come la definisce Fierro, siamo a posto (sic!). Ma vi è di più. “Nicodemo” è il segretario organizzativo nazionale della Margherita e uomo fidato di Franco Marini. Ma anche Crea è indicato come esponente, in allora, di quell’area. Ed anche la “corrente Fortugno” della signora Laganà nella Margherita fa riferimento a quella medesima area. E poi come mai se la signora Laganà aveva seri dubbi su Crea (mai nominato, sic!) ha fatto con lui una lista insieme alle elezioni? Cose curiose a cui Fierro, casualmente, per carità, evita di cercare risposta.
Ma andiamo avanti con le mistificazioni di Fierro, che in questo ambito è un fiume in piena. “E poi c’è quel giovane, Gianluca, che sta convincendo il suocero a resistere a una estorsione, si muove, parla, minaccia denunce.” (pag. 275). Qui si riferisce a Gianluca Congiusta, ammazzato il 24 maggio 2005, a Siderno, che aveva una catena di negozi di telefonia. E qui di nuovo, alcuni fatti mancano all’appello nel lavoro di Fierro. Manca, ad esempio, che è in un negozio di telefonia di Siderno che Pansera (marito di Giuseppina Morabito – collega di Fortugno e Laganà – e figlia di Giuseppe Morabito “u tiradrittu”, di cui il Pansera è stato compagno di latitanza sino all’arresto) comprò decine di telefonini con schede (e con quali documenti?) per i contatti della cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti (ricordiamo le chiamate con i Fortugno-Laganà?). Qui sarebbe un possibile movente di quell’omicidio, ma si sorvola. E soprattutto manca anche un altro passaggio: che Gianluca Congiusta, come rivelato dagli inquirenti pochi mesi fa, si interessò per bloccare la richiesta di pizzo al futuro suocero, non denunciando alle autorità preposte il tentativo di estorsione, bensì si rivolse alla cosca avversa al richiedente, la cosca Commisso. Ecco per Fierro questo è essere dei cittadini che si oppongono alla mafia: ci si guarda bene di rivolgersi all’autorità giudiziaria, Polizia o Carabinieri (“sbirri” per Fierro) manco a parlarne, e si va, invece, a chiedere di risolvere la questione ad una delle cosche avversarie rispetto a quella che avanza pretese. Che grande senso di Legalità e Giustizia. Davvero straordinario questo Fierro!
Ma la penna di Fierro non trova argini in questa sua missione. Lui è preciso e corretto come Emilio Fede, peccato non gli abbiano ancora affidato un rotocalco (tra Mediaste e Rai non c’è problema, ops, non v’è differenza, lui è un fedele servitore). Quando parla del centrodestra giù pesante per le leggi vergogna che hanno aiutato la mafia, giù con i resoconti degli indagati, pregiudicati e condannati delle amministrazioni del Polo. Quando invece le responsabilità sono del centro-sinistra (legge sui collaboratori di giustizia che disincentiva le collaborazioni è del Governo D’Alema, come figli dei governi del centro-sinistra – con la convergenza parlamentare del polo berlusconiano – sono il cosiddetto “giusto processo”, i tagli alle risorse destinate alla Giustizia ed ai reparti investigativi, la mancata abrogazione delle leggi vergogna, le ispezioni “preventive” del Ministro Mastella, il bavaglio all’informazione, la Commissione Antimafia aperta ai condannati per mafia, pregiudicati e i indagati vari, l’indulto, ecc.) parla genericamente di responsabilità dello Stato, e quando si è davanti a indagati, prescritti o condannai dell’Ulivo-Unione, mai un’indicazione più precisa se non un’assoluzione d’Ufficio (politico). Strano, visto l’argomento trattato nel libro. Strano visto che è stato il Ministro degli Interni di centro-destra ad inviare a Reggio il super-Prefetto De Sena che ha svolto e sta svolgendo un lavoro importante e adeguato. Strano anche perché è proprio il precedente Governo che sulla base della Relazione della Commissione d’Accesso guidata dal Prefetto Basilone, ha preso atto dell’infiltrazione mafiosa nella Asl 9 di Locri, procedendo allo scioglimento e commissariamento. Ma strano anche perché anziché far proseguire il Prefetto Basilone (precedentemente a Vibo Valentia) nel suo lavoro che scovava le collusioni tra politica-affari-mafia, in diversi Comuni e poi alla Asl di Locri, il Governo di Prodi appena insediatosi, con un “calabrese” doc come Minniti quale Vice-Ministro degli Interni, decideva di promuovere la dottoressa Basilone, così da trasferirla in un bell’ufficio a Roma, Responsabile dell’Ufficio Scorte, ben lontano dalla Calabria che, con la sua professionalità e integrità, stava contribuendo a ripulire.
Ulteriori esempi? Sarebbero troppi, ma cerchiamo di metterne ancora qualcuno. Questo Fierro offre un’occasione quasi ad ogni pagina del suo “saggio”.
La guida, il cicerone di Fierro in Calabria è naturalmente una persona al di fuori di ogni “sospetto”. Nicola Adamo. Inquisito per associazione a delinquere per truffa nei finanziamenti a società che vedono la partecipazione con moglie e con Abramo, capo dell’opposizione di centro-destra in Regione. Società che non esistono, non fanno nulla a parte incassare i contributi regionali ed europei. Grande protettore dei diessini inquisiti e arrestati, come il Pacenza, a seguito delle accuse dettagliate e dagli elementi probatori raccolti a suo carico degli inquirenti. “Conosco Nicola Adamo da anni. Insieme abbiamo passato ore importanti subito dopo l’omicidio Fortugno. […] “vengo dal partito di Berlinguer” mi dice, “dove l’onestà era un valore in sé. Ricordi la questione morale?” (pag. 284). Ma visto che ne abbiamo già parlato vedi: In Calabria prima l’uovo o la gallina? - Trasgressione Istituzionale – qualcosa su Franco Pacenza qui e qui (che per Fierro, naturalmente è una vittima della “giustizia ad orologeria”), e fatevi un’idea, e se non basta leggete pure un articolo di Marco Travaglio sulle processioni nelle carceri.
Poi, altra ciliegina sulla torta, di Fierro è l’intervista a Pasquale Foti, “per tutti Lillo, presidente della Reggina, non solo una squadra di calcio ma un motore sociale per tutto il territorio, un’icona per i calabresi dato che – come dice lui stesso – ‘ci vengono a vedere anche da altre città della regione. Siamo un simbolo, un punto di riferimento importante” (pag. 255). Nella strada che cerca di accreditare la sua opinione, Fierro, va a scomodare, nientepopodimenoche un protagonista di Calciopoli! Naturalmente questo non lo si dice, Fierro non può certo rovinare l’immagine di un “simbolo” che avvalla le sue tesi, e così sparisce la pesante condanna a Foti e alla Reggina, con inibizione, penalità e pesanti sanzioni pecuniarie, di uno dei più grandi scandali italiani di questi anni.
Poi parla dei “Ragazzi di Locri” che per lui sono quelli di “AmmazzateciTutti”. Li presenta proprio come ragazzi di Locri. Peccato che i “ragazzi di Locri” siano altra cosa rispetto ad “AmmazzateciTutti” che invece erano i giovani del Coordinamento della Margherita di Polistena, pronti, a cadavere di Fortugno ancora caldo, a proporre la signora Laganà (che accetta all’istante mentre è ancora responsabile del personale della Asl di Locri) come candidata alle Politiche della Margherita-Ulivo. Uno strumento mediatico, quel marchio pubblicitario dello striscione e del forum internet, che ha lanciato la candidatura di Maria Grazia Laganà, ha cancellato ogni sorta di contributo che non fosse fideistico verso Fortugno e Laganà. Che ha sempre osteggiato ogni discussione sulla Relazione della Commissione d’Accesso (quando si conosceva a stralci e quando in molti l’abbiamo pubblicata). Un sito-forum personale, in cui solo se condividevi il pensiero dell’amministratore potevi parlare, pena il bannaggio (alias eliminazione!). Dove campeggiava la Margherita (sulle foto con lo striscione e sullo striscione stesso) che solo dopo la frattura con la Margherita , a seguito della sconfitta elettorale di Giovanni Pecora (padre di Aldo, l’amministratore) alle elezioni Provinciali scorse, è stata cancellata abilmente. Un gruppo, quello di AmmazzateciTutti, figlio, come si è evidenziato in altra occasione che ha deluso, perché tradito, la speranza e la fiducia di tanti ragazzi e ragazze. Che per sete di visibilità del “leader con il provider di famiglia” (e fedele all’impegno originario) ha attaccato e cercato di distruggere quel coordinamento, quel luogo comune, che doveva essere il "Forever" dove dovevano incontrarsi tutti i giovani, delle molteplici realtà, che volevano costruire una quotidianità diversa nella Locride che non fosse quella voluta dalla ‘Ndrangheta. Hanno attaccato tutto e tutti, alla ricerca dei riflettori, arrivando a oltraggiare l’impegno e la forza dell’associazione fondata da Antonino Caponnetto, “Riferimenti”, denigrando la coraggiosa e determinata Adriana Musella che ne è anima e presidente. Attaccando quindi, anche Elio Veltri e poi noi. Via via, hanno portato alla distruzione di un sogno. Anche Maria Grazia Messineo, che Fierro ancora cita come esponente del Forum di AmmazzateciTutti – i Ragazzi di Locri, se ne è andata sbattendo la porta e denunciando – anche lei – tutto questo. Ma per Fierro non conta, a lui viene bene solo chi vuole portare il pensiero lontano dalla realtà, nel suo stesso carruggio (alias vicolo)!
”Li ho visti. Sono fantastici. In prima fila contro la mafia, mi commuovono. Negli anni passati c’erano state manifestazioni di giovani contro i boss, per la rinascita della Calabria, ma questo è un movimento nuovo. Mi ricordano molto i ragazzi delle magliette a strisce del luglio del ’60 a Genova. Quelle dei giovani che scendevano in piazza contro Tambroni, contro la repressione…” (pag. 264). Ma Fierro porta questa testimonianza per parlare di questo “sano” e “libero” movimento di AmmazzateciTutti. E’ una voce “indipendente”. E’ sempre Nicola Adamo, ne abbiamo già parlato poco fa. Tra l’altro pessimo esempio quello di Adamo. Non erano giovani, a Genova, il 30 giugno del 1960 (non luglio, sic!). Era la città. I giovani e non. Era quel popolo antifascista che era uscito dalla Resistenza – che a Genova, unica città d’Italia, costrinse le forze di occupazione nazi-fasciste alla resa incondizionata, il 24 aprile, nelle mani dei Partigiani - , che ancora teneva alta la guardia e univa categorie di lavoratori, con studenti e vecchi militanti partigiani ( e ). Era una mobilitazione intergenerazionale e nazionale, dalla Sicilia a Reggio Emilia, con caduti tra gli antifascisti. Non conoscere questo particolare, significa non comprendere come sia stato possibile che quelle “magliette a strisce” abbiano fatto cadere il governo Tambroni e impedito al MSI di entrare al Governo (e di tenere il loro congresso a Genova, medaglia d’oro della Resistenza). Usare esempi sbagliati non è mai utile e non è educativo! Strano poi che proprio un esponente della cosiddetta sinistra calabrese non conosca questi fatti, vista anche la stagione della “Santa”, strumento di legame-compromissorio tra potere politico-istituzionale, massoneria coperta, ‘ndrangheta, pezzi dei servizi segreti ed estrema destra, che proprio in Calabria sfociò nella marcia dei “Boia chi molla” e nei legami che di lì in avanti, attraverso la “Santa” e molteplici logge massoniche coperte, si sono consolidati e rafforzati sino ad oggi, in modo trasversale con la politica di chi è al potere, in quella regione e nelle altre sedi nazionali e estere di attività della mafia.
Ma i fatti per Fierro, lo abbiamo capito non contano. E dopo la distorsione della realtà cosa poteva ancora fare per adempiere all’incarico ricevuto? Cancellare fatti che altrimenti erano difficili da distorcere. Vediamo.
”E’ un pomeriggio di fine febbraio, quando agenti della Finanza bussano alla porta della loro casa di Locri. Cercano l’onorevole, trovano la figlia Anna. Devono consegnare un avviso di garanzia. In pochi minuti le Tv calabresi trasmettono la notizia: l’onorevole Maria Grazia Laganà, membro della commissione parlamentare antimafia è indagata dalla procura di Reggio calabria. E’ una bomba. L’ipotesi di accusa infamante, truffa aggravata in concorso con altri soggetti.” (pag. 297) E qui Fierro supera nuovamente i limiti della decenza. Infatti non è la Procura di Reggio Calabria che indaga l’onorevole Laganà, bensì è la Direzione Distrettuale Antimafia della procura di Reggio Calabria. Una bazzecola per lui che una parlamentare dell’antimafia sia indagata dalla magistratura antimafia. La signora aveva anche fatto ricorso per chiedere di essere indagata (ed eventualmente processata) dalla magistratura ordinaria di Locri, tramite i suoi legali (il cugino Sergio Laganà e l’ex legale della cosca Cordì, Antonio Mazzone – clicca qui), ma questi è stato rigettato facendola restare oggetto d’indagine dell’Antimafia. Che strano che abbia saltato proprio quella parolina “antimafia” o quella sigla “DDA” e tutto il resto!
Ma è anche curioso come abbia di colpo, con un omissione d’informazione gravissima, che stravolge il significato delle cose, abbia anche omesso di dire che tale Avviso di Garanzia sia stato emesso dalla DDA presso la Procura di Reggio Calabria, a seguito di due convocazione dell’onorevole Maria Grazia Laganà, da parte della DDA di Reggio, come persona informata sui fatti. Eliminando questa notizia (questo fatto!), Fierro elimina anche la notizia (fatto!) che l’on. Laganà non si sia presentata a nessuna delle due convocazioni, adducendo - sullo stile di Berlusconi-Previti-Dell’Utri – ad impegni istituzionali.
Omettendo tutto ciò, Fierro riesce a compiere un capolavoro che se lo avesse proposto a Berlusconi, questi l’avrebbe nominato portavoce al posto di Sandro Bondi. Infatti Fierro elude un altro particolare che è enorme: il conflitto di interessi dell’On. Laganà (leggi agenzia Ansa). La signora è membro della Commissione Parlamentare Antimafia (che ha poteri di autorità giudiziaria) e può quindi, ascoltare e interrogare in quella sede persone che sono testimoni, agenti dei reparti investigativi o anche magistrati delle DDA. Può inoltre avere accesso a documenti e fascicoli giudiziari. In quella sede, giusto ricordarlo, può essere anche ordinato l’arresto di persone ascoltate che si mostrino reticenti e non rispondano (quello che fa la signora con la DDA di Reggio! sic). Nemmeno Berlusconi era riuscito a tanto, e con lui non vi erano riusciti nemmeno i suoi più fedeli uomini. Ma Fierro questo non lo nota, sarà perché Maria Grazia Laganà proviene da una potente famiglia democristiana che ha deciso di portare tutto il suo peso nella Margherita-Ulivo, alias nel nuovo Partito Democratico? Chissà se mai la signora avesse scelto di essere nell’altro schieramento, come l’avrebbe presa Fierro?! Mah, domande senza risposta.
”Maria Grazia Laganà è nell’occhio di un ciclone che rischia di travolgerla. “La verità è che sono indagata da quegli stessi magistrati che ho criticato per come stanno conducendo le indagini sull’assassinio di mio marito. L’ho detto al capo dello Stato e al procuratore nazionale antimafia: non si vuole scavare in quel terzo livello che ha deciso l’omicidio Fortugno. In Calabria c’è un muro di gomma, intrecci tra famiglie di magistrati che continuano a controllare la situazione. Ci sono scambi di favori tra magistrati e concorsi in magistratura che si devono vincere. Mio marito è stato ucciso perché non assecondava le commistioni tra famiglie di magistrati, ‘ndrangheta e politici nel settore della sanità pubblica e privata riguardanti l’azienda sanitaria di Locri..” (pag. 298) Qui Fierro da spazio all’auto-difesa dell’onorevole. O meglio da spazio solo all’auto-difesa di Maria Grazia Laganà. Si dimentica, ad esempio, di sottolineare che i magistrati che lei critica per le indagini sull’omicidio di suo marito, hanno visto la sottoscrizione del loro impianto accusatorio, da parte dei legali della signora. Ora o Maria Grazia Laganà soffre di sindrome di sdoppiamento della personalità (alias schizzofrenia) e quindi da un lato ritiene sbagliato il lavoro dei giudici e dall’altro lo ritiene condivisibile, oppure è l’ennesima arrampicata sugli specchi. Ma questo Fierro, si sa, non può notarlo, è un “cosiddetto” giornalista (per di più di Partito!) e non deve porre domande agli amici, tanto meno se sono domande scomode! Ed allora non si accorge nemmeno che l’Associazione Nazionale Magistrati di Reggio Calabria prima e con la Giunta Esecutiva Centrale poi, ha richiamato con chiarezza inequivocabile e fermezza decisa l’on. Laganà a piantarla con accuse generiche, illazioni e quanto altro sta compiendo, ricordando che è nel procedimento e nell’eventuale processo che, nel merito, può difendersi come suo diritto di indagata. (clicca qui).
Torna poi (ma nel libro è ricorrente) il ritornello delle denunce ed avversione di Fortugno alla ‘ndrangheta. Dove sono queste denunce? L’unica cosa certa, esistente, è un’interrogazione in Consiglio Regionale, dove non c’è scritto nulla se non di un fatto puramente personale. La signora in casa non ha copia delle denunce? Inoltre, non ne parlava con lei suo marito? Ed anche: se lei era la responsabile del personale della Asl 9, e come tale, Vice Direttore Sanitario, coinvolta anche nelle partite di forniture e appalti, convenzioni e quant’altro, non sa proprio a quali irregolarità si riferiva suo marito? Non vorremmo che qualcuno potesse mai pensare che le denunce riguardavano anche provvedimenti del suo stesso Ufficio!?! Ma queste cose non sono rilevanti per Fierro. Lui registra e lascia correre, la miglior verità è quella che ti garantisce lo stipendio, per i marchettari giornalisti. Non possiamo pretendere troppo!
”Maria Grazia Laganà non trova pace. La sua battaglia per trovare la verità sulla morte del marito è inarrestabile.” (pag. 292) . Questa battaglia non l’ha notata nessuno, a parte Fierro ed i sodali di partito. Non l’hanno notata i magistrati dell’antimafia che l’hanno più volte convocata ed ai quali, come persona informata dei fatti non si è presentata, e come indagata si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Non la si nota nemmeno nei verbali della Commissione Parlamentare Antimafia. Si è solo notata una sua dichiarazione, tramite la voce di Francesco Forgione, presidente della Commissione Antimafia, che proprio a Fierro, su l’Unità del 21.03.2007 – clicca qui -, ha dichiarato che Maria Grazia Laganà ha un’alta sensibilità istituzionale, perché quando si parla delle cose che lei conosce direttamente, lei tace ed esce dall’aula. Ecco allora che sorge spontanea, anche a un bambino, la domanda: ma se la signora Maria Grazia Laganà è così decisa a raggiungere la verità e la giustizia per la morte del marito e per le infiltrazioni mafiose nella Asl di Locri, perché non dice quello che solo lei sa, sia come moglie sia come Vice Direttore Sanitario – Responsabile del Personale di quella Asl, sia come figlia del rais di quella stessa Azienda Sanitaria (e prima USL)? Le cose che lei sa non le possono mica dire gli altri! O le dice lei o nessuno le può sapere. Ma che ci possiamo fare?…è una donna “sensibile”, ce lo dice Fierro!
Altro particolare dimenticato, proprio totalmente, da Fierro, è che ci sono un po’ di cose, che nonostante il silenzio della signora Laganà, la magistratura ha scoperto e sta scoprendo. Ad esempi in primo grado sono già stati condannati diversi amministratori della ASL di Locri, colleghi della signora, proprio quelli che lavoravano con lei. Inoltre le indagini, con perquisizioni e nuovi arresti, legati allo stesso filone per cui la signora è stata indagata, proseguono a ritmo serrato. Ma queste sono cose che non è il caso di dire, visto lo spirito per cui Fierro ha compiuto questo sforzo.
In ultimo alcune contraddizioni palesi tra un capitolo e l’altro di questa storia di Fierro.
Da un lato, dice che era normale che Fortugno e Laganà frequentassero e lavorassero, sentissero al telefono e fossero contigui alla ‘ndrangheta e dall’altro dice che hanno sempre rifiutato ogni rapporto con la ‘ndrangheta e la denunciavano. Dove è il nesso? O l’una o l’altra! Noi la vediamo così, voi? Non vediamo, altresì, la “coerenza” della signora Laganà che prima di essere eletta diceva di non sapere nulla della ‘ndrangheta e di non sapere perché mai suo marito sia stato ucciso, mentre dopo la sua elezione (e la Relazione Basilone ) affermava che lei ed il marito avevano combattuto sempre la ‘ndrangheta ed il mal funzionamento della Asl. Chissà se mai qualcuno degli interessati si degnerà di dare risposte chiare e inequivocabili.
Altra grande contraddizione dei ragionamenti di Fierro è quella sui voti. Da un lato dice che il centrosinistra ha stravinto perchè vi era la spinta al cambiamento di Fortugno (sostenuto da Loiero) e dall’altra dice che il centrosinistra ha stravinto perché si erano imbarcati cani e porci (per volontà di Loiero) come Crea e quel 20% in più alle elezioni regionali veniva portato dalle mele marce. Ma se le mele marce contavano il 20%, allora, come mai Crea non è stato eletto e Fortugno sì? Solo nella mente di Fierro questo nodo, forse, può essere sciolto.
Quanto ancora dobbiamo, quindi, attendere perché ci sia informazione sui fatti, unico strumento per accertare verità ed aiutare a raggiungere la giustizia? Quanto è ancora lunga la strada dei depistaggi? Noi siamo, francamente, stufi, schifati e preoccupati.
Non avevamo dubbi sul fatto che il Potere gode di una tendenza innata all’impunità, e che quindi qualunque Potere (con questa destra e questa sinistra nostrana!) si auto-tuteli dai controlli di legalità. Ma questi avevano detto di essere diversi. Questi avevano detto: mai più “porti delle nebbie”. Questi hanno fatto bandiera della lotta alle mafie e poi sono stati, anche loro, a stringere patti inconfessabili con le mafie, dal sud al nord del paese. Abbiamo ricostruito tutti i fatti del caso Fortugno-Laganà-Asl 9 e sono chiari – clicca qui -. Fierro li conosce, li ha letti e ne abbiamo anche parlato. Allora non può dire che non sapeva, che non conosce i fatti. Ciò significa che il vestito (il libro) da lui tagliato (scritto) è fatto a posta, su misura per un fine inequivocabile, cancellare i fatti per tutelare, a prescindere dagli elementi certi e dalle prove raccolte dalla magistratura, un espressione del Potere. Un esponente storica del potere democristiano – ora nel PD – della Calabria, che era “contigua” alla ‘ndrangheta. E’ davvero triste: sicuramente non rischia la sospensione dall’Albo dei giornalisti, a differenza di Betulla (che meritava la radiazione!), perché lui non ha preso extra dai servizi segreti, lo fa per il suo stipendio di “cosiddetto” giornalista di Partito! (con i soldi dei contributi dello Stato – cioè dei cittadini).
Sembra proprio che qualcuno voglia disperatamente nascondere il contenuto - inequivocabile - della Relazione Basilone: con l'espediente di dire che questo libro di Fierro la raccoglie, sì fa in modo che chi lo legge sia tratto in inganno, pensando che questa non dica praticamente nulla e non sia invece utile a capire il tutto.