L'idea che con la mafia si possa convivere, del resto, non è solo appannaggio
degli esponenti della Casa della Libertà. Trova anche numerosi estimatori nelle
file dei Ds siciliani...
Persino ai livelli più alti. La cosa diventa evidente
quando finisce in manette Raffaele Bevilacqua, il boss della provincia di Enna.
Pure lui, come ormai quasi tutti i capimafia di terza generazione, è un
borghese: di professione fa l'avvocato e, nei primi anni Novanta - quando era
ancora sottocapo della Commissione provinciale di Cosa Nostra e reggente della
famiglia mafiosa di Barrafranca - era stato iscritto alla Dc (corrente
andreottiana) venendo eletto consigliere provinciale. Allora il suo referente
nell'onorata società era Piddu Madonia, che in quel periodo trascorreva la
latitanza a Bagheria assieme al capo dei capi.
Un rapporto quasi simbiotico il loro, tanto che Bevilacqua, nel 1991, partecipa
persino a una riunione della Commissione interprovinciale di Cosa Nostra
organizzata a Enna alla quale erano presenti Riina, Provenzano e il catanese
Nitto Santapaola. Uscito di prigione, Bevilacqua sale di grado e diventa il
mammasantissima di tutta la sua provincia. La sorpresa degli investigatori
della Squadra Mobile di Enna è insomma grande quando, in un video registrato in
un albergo, accanto al volto di Bevilacqua compare la faccia rotonda e
simpatica dell'allora Vice Presidente diessino della Assemblea Regionale
Siciliana (ARS),
Vladimiro "Mirello" Crisafulli. Seduti uno di fronte all'altro
nell'ufficio del direttore dell'hotel Garden di Pergusa, i due appaiono distesi
e sorridenti. Il politico chiede un posacenere, uno dei titolari dell'albergo
porta anche una penna e un bloc-notes, "No, non mi serve la carta", risponde l'avvocato-boss,
"tutto a mente, non si lasciano tracce".
Inizia così, alle 13:45 del 19 dicembre 2001, il primo colloquio tra un capomafie
e un leader istituzionale, interamente ripreso da una videocamere
investigativa. Un documento straordinario, che apre una finestra sui rapporti
diretti mafia-politica in Sicilia e che, nell'estate del 2003 quando diventa
pubblico, crea divisioni e imbarazzo nei Ds, proprio nel momento in cui il
Presidente della Regione Totò Cuffaro (Udc) finisce indagato per fatti di mafia
e il suo vice, Giuseppe Castiglione (Fi), viene condannato in primo grado a
dieci mesi per tentativo di turbativa d'asta (sarà però assolto in appello).
Il caso esplode a Enna, dove
Crisafulli, cresciuto nel PCI, soprannominato "cappeddazzo"
per i suoi cappelli a larghe falde, genuino, sanguigno, e schietto, ha
costruito un solido sistema di potere, per sua stessa ammissione, borderline
con il codice penale.
«Il mio concetto di legalità», ha detto una volta
Crisafulli a Francesco Forgione, deputato di Rifondazione, «è più elastico del
tuo». [...] Bevilacqua è scortato da due guardaspalle, mentre il monitor segna
le ore 13,40. Due minuti dopo le videocamere inquadrano Crisafulli col suo
autista. Segue immancabile il bacio sulle guance tra il boss e il deputato (se
lo avesse raccontato un pentito non ci avrebbe creduto nessuno). [...] Poi si
comincia a parlare di politica. Il boss, che tradisce una certa deferenza nei
confronti di
Crisafulli, chiede e il parlamentare risponde. L'avvocato si
lamenta di Piazza Armerina, un comune dell'Ennese, dove un rimpasto rischia di
privilegiare candidati che non gli piacciono. «Spererei», dice, «che mi facessi
contento questo gruppo. Se sono amici miei sono anche amici tuoi». Crisafulli
ascolta. [...]
Quindi discutono di appalti. [...]«Allora, per quei taglialegna», dice
Bevilacqua, «avevi detto due». «Magari di più», risponde
Crisafulli, «tre,
quattro». Si riferiscono a un disboscamento affidato a una ditta calabrese, nel
quale anche il boss Bevilacqua, titolare di un'impresa, vuole, a giudicare dal
tenore delle richieste, inserire dei suoi raccomandati. E non solo in quello.
[...] Si parla del campus universitario, centoventi miliardi di vecchie lire,
da realizzare a Enna Bassa e di certi lavori nella "salita di Enna". [...]
Infine sul video scorrono dei fotogrammi destinati a riaprire il dibattito sul
terzo livello, sui rapporti di forza tra mafia e politica. Chi comanda chi? Il
summit Bevilacqua-Crisafulli offre una risposta inequivocabile: «A chi lo hai
dato?», chiede il boss a proposito di un appalto. «Agli unici che lo possono
fare», risponde Crisafulli, «i fratelli Gulino». [...] All'avvocato la cosa non
va giù e se ne lamenta. Ma l'onorevole DS risponde con decisione: «Fatti i
cazzi tuoi». [...]
L'incontro si chiude alle 14,05, le microtelecamere della squadra mobile,
piazzate all'Hotel Garden all'insaputa del direttore per sorprendere una banda
di estorsori, hanno registrato un documento straordinario che spinge il
direttivo regionale dei DS a censurare il compagno Mirello perché «frequentare
boss è inammissibile», mentre quasi tutte le sezioni DS di Enna si stringono
attorno a lui, chiedendogli di revocare l'autosospensione dalla carica di
vicepresidente dell'ARS.
Alla fine
la Procura,
il 19 febbraio 2004, chiede e poi ottiene dal GIP l'archiviazione perché quel
colloquio non portò ad alcun beneficio a Cosa Nostra. Scrivono però i PM nella
richiesta di archiviazione che è «
dimostrata da parte del Crisafulli la
disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua, accettando il dialogo
sulle proposte politiche dello stesso, ascoltando la sua istanza e rispondendo
alle domande sulle possibili iniziative politico-amministrative, in particolare
in materia di finanziamenti e appalti». Quell'incontro e gli altri che
seguirono, nonché le numerose telefonate fra i due, costituiscono per la Procura «
un complesso di
contatti e disponibilità al dialogo di inquietante valenza: il solo fatto che
un autorevole rappresentante politico incontri un personaggio del quale non
poteva ignorare (ogni contraria ipotesi appare irrealistica) [...] la nota caratura
nel
contesto della illiceità mafiosa, è fatto troppo grave perché sia il caso di
insistere [...]. La pubblicità dell'incontro [...] enfatizza in tutti i
presenti al congresso l'idea di stabili contatti mafia-politica, con ovvio
vantaggio per la prima».
Ma tutto ciò
non basta a provare il reato, perché
«Crisafulli appare
disponibile a esplorare con Bevilacqua l'area delle ipotesi strettamente
politiche nel territorio e, in parte, ad addentrarsi nell'area grigia
dell'affarismo politico-elettorale, ma in ambedue i casi senza fornire alcun
apprezzabile apporto causale ai fini associativi [...]. Nell'ambito affaristico
non risulta che le richieste di Bevilacqua siano state esaudite, e quindi
l'ascolto e la discussione appaiono piuttosto finalizzate a mantenere aperto un
canale di collegamento. Sinteticamente e globalmente considerata, la condotta
di Crisafulli può apparire oggettivamente legittimante rispetto a Bevilacqua e
quindi pericolosamente vicina al sottile confine della attività penalmente
illecita [...]. Però si deve concludere che non vi sono sufficienti elementi di
prova per sostenere che abbia arrecato significativa, rilevante utilità al
Bevilacqua, al sodalizio criminoso di appartenenza dello stesso o all'intera
Cosa Nostra». [...]
Ce n'è abbastanza per chiudere tutto sul piano penale. Ma
ce ne sarebbe a
sufficienza almeno per stroncare la carriera politica di Crisafulli in nome
della "questione morale" tanto cara a Enrico Berlinguer, oggi caduta in
prescrizione. Soprattutto nel partito che fu di Pio La Torre, morto ammazzato da
Cosa Nostra per aver rifiutato anche il minimo compromesso con i mafiosi.
Mirello Crisafulli invece viene addirittura promosso. [...]
Integramente tratto da
"I COMPLICI tutti gli uomini di Provenzano da Corleone al Parlamento"
di Lirio Abbate e Peter Gomez