Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui rifiuti –
XVI° legislatura Relazione Finale – 15.02.2006
”Analoghi dati sono stati raccolti da altra giornalista, Maria Barresi, pure recatasi in Somalia sulla scia delle inchieste collegate alla vicenda di Ilaria Alpi e del pari impressionata dai segni di devastazione ambientale che presenta, in talune e significative parti, il territorio somalo e dall’enorme diffusione di patologie neonatali, del tutto inspiegabili avuto riguardo alla storia, all’economia ed all’ambiente somali.
Questo e` lo scenario, nella sua fase – per cosı` dire – virulenta, che ebbe dinanzi Ilaria Alpi quando si reco` in Somalia, nel marzo 1994, inviata nel paese somalo per conto della RAI, all’epoca dell’operazione Restor Hope.
Senza entrare nella dinamica dell’assassinio della coraggiosa giornalista, su cui altra Commissione sta conducendo specifici accertamenti, l’attenzione della Commissione a tale vicenda e` stata orientata proprio alla ricerca degli aspetti collegati al traffico di rifiuti su cui, indubbiamente, l’inviata RAI stava indagando, stando al contenuto dei taccuini « sopravvissuti » e stando al fatto che l’ultimo viaggio compiuto dalla giornalista avvenne proprio in quei luoghi da piu` parti segnalati come teatro di traffici illeciti, anche concernenti i rifiuti, e che piu` fonti, oggi, come si e` visto, individuano come cimitero di veleni.
Le informazioni assunte da lavoratori somali circa i traffici di rifiuti, la necessita` per ogni attivita` in loco di appoggiarsi a tribu` locali ed alle relative bande armate, inducono a ritenere verosimile l’ipotesi di un diretto coinvolgimento di organizzazioni somale in tali traffici.
In definitiva, l’assenza di rivendicazioni, non consente, per un verso, di individuare nella matrice fondamentalista islamica il movente dell’agguato, e, per altro, non esclude che la causale dell’omicidio possa essere individuata nelle inchieste che la giornalista ed il suo operatore stavano svolgendo in territorio somalo; inchieste che, per certo, riguardavano anche e soprattutto il traffico dei rifiuti.
Sul punto, il rappresentante del Governo somalo presso l’Unione europea, YUSUF BARI BARI, che ha aiutato i giornalisti italiani in loco, per i contatti con le popolazioni locali e per gli spostamenti, cosı` riferisce, in sede di audizione resa a questa Commissione:
(...) Non ci risulta – queste sono le informazioni in mio possesso, ma gli altri apparati del nostro Governo, in particolare quelli dell’intelligence, potrebbero averne altre – che esista un collegamento o un interesse diretto da parte dei fondamentalisti riguardo al discorso dei rifiuti. Tuttavia, non posso escluderlo in maniera categorica, e ritengo che le due istituzioni che possono dialogare, in questo senso, siano l’intelligence italiana e quella somala. (...) Per quanto riguarda le azioni dei fondamentalisti, devo dire che, ahime`, piu` volte essi hanno assassinato operatori internazionali. (...) Anche nei primi anni 90 (...)
Questi assassinii, soprattutto di operatori internazionali, erano facilmente prevedibili: si trattava di obiettivi facili, la cui uccisione aveva un’eco che superava i confini nazionali. (...) Se pensiamo alle modalita` di esecuzione delle uccisioni, possiamo dire che gli assassini lasciano le loro firme, e le firme sono sempre chiare. Non vi sono, che io sappia, casi in cui non siano state lasciate firme, che sono facilmente immaginabili.
Piu` in generale, chi, come Scalettari ha, di recente, rifatto, in Somalia, l’intero percorso fatto da Ilaria Alpi, assumendo utili informazioni da coloro che con la giornalista hanno avuto gli ultimi contatti, cosı` lo ha ricostruito:
(...) circa l’esistenza o meno di collegamenti tra il traffico dei rifiuti e l’omicidio di Ilaria Alpi. Se per collegamento si intende un legame diretto o una testimonianza che abbia riferito chiaramente che su quel sito stava indagando Ilaria Alpi, nei giorni in cui era a Bosaso, o nell’area del Puntland, allora rispondo che non c’e` alcun collegamento.
Viceversa, se consideriamo il fatto che Ilaria Alpi ha lasciato, nei suoi appunti, un’indicazione precisa riguardo alla strada Garoe-Bosaso; se consideriamo, come ripetuto e confermato da alcune testimonianze, che Ilaria Alpi stava lavorando intorno alla questione del traffico d’armi, dei rifiuti, delle famose navi donate dalla cooperazione italiana alla Somalia; se, infine, consideriamo che proprio lungo questa strada ha trascorso alcuni degli ultimi giorni della sua vita, direi che questo collegamento esiste. Il collegamento esiste, insomma – e` un interrogativo da approfondire –, nell’oscurita` che permane intorno alla ragione che puo` aver determinato la decisione di eliminare i due giornalisti.
Certamente, questa e` un’area di interesse e, come giornalisti che si occupano da tempo di questa vicenda, pensiamo che la questione debba essere effettivamente approfondita. (...) Dalle testimonianze emerge sicuramente che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si sono recati in quella zona pensando di rimanerci due giorni. Stando alle testimonianze degli italiani dell’ONG Africa 70, presenti sul luogo e che li ospitavano, i due giornalisti il giorno 16 marzo hanno perso l’aereo e quindi tutto quello che hanno fanno dopo quella data non era previsto. I giorni successivi sono stati impiegati imprevedibilmente, mentre i primi due giorni sono stati dedicati all’attivita` che avevano programmato. Ebbene, che cosa hanno fatto Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in questi due giorni ? Abbiamo cercato di realizzare una sinossi fra i filmati – quello che e` arrivato in Italia –, le nuove testimonianze raccolte e quelle che gia` si conoscevano, ovvero quelle dei cooperanti italiani di Africa 70. Quello che emerge, nell’insieme, e` che in quei due giorni Ilaria Alpi aveva intenzione di andare a parlare con il sultano di Bosaso, che ha intervistato prima del giorno 16, e di andare a Gardo. Quest’ultima circostanza, come giornalista, mi incuriosisce; a Gardo, infatti, abbiamo individuato solo alcuni interventi di cooperazione, e nemmeno particolarmente rilevanti per l’Italia. Non siamo riusciti a rintracciare null’altro, almeno fino a questo momento. A Gardo abbiamo rilevato la presenza di una cooperazione tedesca, la GTZ, di una ONG francese, Action contre la faim (erano presenti, pero` , i rappresentanti del gruppo americano dell’ONG, AICF-Stati Uniti), una presenza di Me´decins du monde e forse una piccola presenza della Croce rossa. Eppure, per rimanere a Gardo nella giornata – presumibilmente – del 15 marzo, Ilaria Alpi si ferma a dormire lı` e perde l’aereo la mattina dopo. Da giornalista, io non lo avrei fatto. Per decidere di rischiare di perdere un aereo, senza nemmeno sapere quando ci sarebbe stato il successivo, avrei dovuto avere qualcosa di piuttosto importante da fare. Ovviamente, questa e` soltanto una riflessione che abbiamo svolto rivedendo il girato, anche alla luce delle nuove testimonianze che abbiamo raccolto. Abbiamo cercato di immaginarci nella stessa situazione, avendo gia` percorso quella strada e conoscendo i tempi di percorrenza e la difficolta` di prevedere un incidente di qualsiasi tipo, anche una semplice foratura, che avrebbe potuto influire sui tempi. L’elemento forse piu` rilevante che emerge da queste testimonianze e` una contraddizione fra cio` che hanno detto i cooperanti di Africa 70 e cio` che dicono due dei testimoni che abbiamo ascoltato noi. I primi affermano di aver trovato, presso la loro sede, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin il giorno 16: avendo perso l’aereo, chiedono di essere ospitati per i giorni successivi, fino al volo seguente. Questa testimonianza conferma quelle gia` rese dai cooperanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, secondo le quali, appunto, essi avrebbero trovato nella loro sede i due giornalisti. Due altri testimoni, invece, riferiscono di essere andati a prendere all’aeroporto Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Dunque, non poteva essere il 16 marzo: i due giornalisti, infatti, il 16 marzo, tornano da Gardo in automobile, sicuramente saranno passati dall’aeroporto, con la speranza di prendere l’aereo; e` certo che si sono recati alla sede di Africa 70 in macchina, cosı` come raccontano i cooperanti. Non si capisce cosa sia accaduto, invece, il 14 marzo, il giorno del primo arrivo – presumibilmente in aereo – di Ilaria Alpi a Bosaso, ne´ si comprende perche´ nessuno dei cooperanti di Africa 70 abbia riferito di essere andato a prenderla all’aeroporto, mentre sia l’uomo della scorta sia il coordinatore del personale somalo affermano il contrario. L’uomo della scorta si chiama Mohamed Nur Said e vive attualmente a Garoe, dove lo abbiamo incontrato, mentre il coordinatore del personale somalo, nonche´ interprete (parla molto bene l’italiano), si chiama Mukhtar Abukar e vive a Bosaso, dove e` rintracciabile. Questi sono i due uomini che, come dicevo, riferiscono di essere andati a prendere i due giornalisti all’aeroporto. Il secondo aggiunge di esserci andato in compagnia di un italiano di Africa 70. Gli altri testimoni, ovvero altre persone che hanno incontrato e accompagnato in quei giorni Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sono Ali Samantar, che ha fatto loro da interprete, fra il 16 e il 20 marzo, per un paio di giorni, e li ha accompagnati al mercato, al porto e a fare un’escursione nel villaggio Ufein, a circa 160 chilometri da Bosaso, e uno degli autisti, di cui non ricordo il nome, che li ha accompagnati sempre in quei due giorni. Infine, abbiamo contattato gia` in Italia, per telefono, un cooperante tedesco, presente a Gardo per la GTZ, che sapevamo avesse incontrato Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma non in quale giorno.
Speravamo che si fossero incontrati nei primi giorni della loro permanenza, ma non e` andata cosı`. In realta` , il 19 marzo, quindi il giorno prima della partenza di Ilaria e Miran da Bosaso per rientrare a Mogadiscio, tale cooperante, che risponde al nome di Alexander von Braunmuehl, e` arrivato a Bosaso e ha pranzato con loro, insieme ad alcuni cooperanti di Africa 70. L’interesse di questa testimonianza consiste, in primo luogo, nel fatto che egli ricorda chi era presente a Gardo in quel momento e quanto poco ci fosse in quella citta` (solo un piccolo e malconcio albergo dove, eventualmente, avrebbero potuto dormire); in secondo luogo, egli conferma che, durante quel pranzo, Ilaria Alpi ha riferito di essere stata a Gardo nei giorni precedenti.
Evidentemente, si puo` dedurre che Ilaria si sia recata a Gardo, ma non alla GTZ, dove in quei giorni si trovava Alexander von Braunmuehl. »
Molto, dunque, resta ancora da chiarire.
La Commissione auspica che ulteriori approfondimenti, con accertamenti anche in loco (accertamenti che non e` stato possibile per la Commissione sinora svolgere, per la situazione ancora critica dell’ordine e sicurezza pubblica del paese somalo), vengano realizzati da parte dell’Autorita` Giudiziaria, cui questo organismo di inchiesta ha trasmesso gran parte della documentazione investigativa raccolta anche a seguito di propria iniziativa. Quel che e` certo, comunque, e` che dai veleni dei rifiuti –che costituivano il tema di indagine che la Commissione avrebbe voluto, in presenza delle opportune condizioni, approfondire anche in Somalia- la Somalia corre il serio rischio di passare ai veleni del fondamentalismo, nell’indifferenza dell’Occidente.
8. Le navi « a perdere » e la vicenda dello spiaggiamento della « Rosso ».
Nel quadro dell’attenzione rivolta dalla Commissione alle movimentazioni illecite transfrontaliere di rifiuti, una considerazione particolare deve essere rivolta ai traffici che hanno utilizzato la via marittima.
Sotto almeno un duplice profilo.
Sia per la carenza di un adeguato apparato collaborativo internazionale fra gli organismi deputati al controllo della movimentazione delle merci nelle aree portuali, apparendo indispensabile, a tale scopo, il ricorso a protocolli operativi – quali ad esempio il cosiddetto Seaport Project – che siano in grado di colmare quel gap comunicativo che i circuiti illeciti hanno da tempo superato.
Sia per l’anomala utilizzazione di navi, spesso non in perfette condizioni, per effettuare trasporti di rifiuti conclusisi con l’inabissamento di natante e carico.
Sotto tale ultimo versante, la Commissione ha svolto approfonditi accertamenti sulla vicenda della motonave « Rosso » (gia` Jolly Rosso), acquisendo documentazione, anche dalla societa` armatrice, assumendo informazioni da molti dei soggetti che parteciparono alle fasi dello spiaggiamento ed alle operazioni successive, acquisendo utili elementi conoscitivi dai magistrati inquirenti, nella consapevolezza che un tentativo di chiarificazione andasse svolto obbligatoriamente, non foss’altro che per dissolvere quell’alone di intollerabile sospetto con cui sono stati descritti i mari italiani, cimiteri di navi a perdere negli anni ottanta e novanta.
E tuttavia, i dubbi permangono; accresciuti anche dalla recentissima notizia dell’avvistamento, a circa 400 metri di profondita` , al largo di Cetraro, di un’altra nave con un vasto squarcio nel centro dello scafo; un’altra sagoma, lunga circa 126 metri, e` stata avvistata a 500 metri di profondita` al largo di Belvedere: stesso specchio di mare che vide lo spiaggiamento della Rosso, stessi dubbi.
I dubbi permangono, si diceva.
Alcuni vengono di seguito prospettati.
Si e` sostenuto, in primo luogo, da parte della societa` armatrice, che la « Rosso » era perfettamente funzionante all’epoca dello spiaggiamento, avvenuto il 14.12.1990: dal rapporto del Cap. Bellantone, della Capitaneria di Porto Vibo Valentia, intervenuto per gli accertamenti di competenza subito dopo lo spiaggiamento, risulta, tuttavia, che la Rosso era stata in disarmo dal 18.1.1989 al 7.12.1990, data in cui era stata riarmata e proprio per il viaggio La Spezia-Napoli- Malta-La Spezia.
E` stato, inoltre, rappresentato che lo spiaggiamento fu causato dallo spostamento del carico all’interno della stiva, dovuto all’avverse condizioni metereologiche, cosa che provoco` falle nello scafo: dal rapporto del capitano Bellantone, viceversa, risulta che: tranne il marinaio Scardina, nessuno fece presente anomalie nel corso della navigazione quanto alla sistemazione del carico; essendo le condizioni meteo erano avverse sin dalla partenza, il capitano avrebbe dovuto ritardare la partenza, ma quest’ultimo decise ugualmente di prendere il mare; all’atto delle prime ispezioni a bordo, peraltro, il carico risultava rizzato regolarmente.
Ma vi e` di piu` .
Nel giornale della Jolly Giallo e` scritto che: « alcuni marosi frangendo sulla murata sinistra raddrizzavano la Rosso con grande stupore di tutti i presenti »: come e` possibile tutto cio` se la Rosso era diventata ingovernabile per aver imbarcato acqua ?
E` stato riferito, ancora, che la « Smit Tak », la stessa societa` olandese che si occupo` del recupero del sommergibile russo « Kursk », fu incaricata del recupero dello scafo della « Rosso » e abbandono` l’impresa dopo i danni patiti dalla nave a seguito delle mareggiate del 17 febbraio 1991: e` lecito chiedersi, allora, per quale motivo la « Smit Tak » proseguı` i lavori fino al 6 marzo 1991, cioe` ben oltre la citata mareggiata.
E` stato, infine, rappresentato alla Commissione che i danni nella murata di sinistra della Rosso furono causati sempre dalla mareggiata del febbraio 1991; in conseguenza degli squarci, la Rosso perse parte del carico:e tuttavia, se cosı` e`, resta inspiegato il fatto che gli squarci sulla fiancata si presentavano dai contorni irregolari; e soprattutto, tutto cio` non si concilia con quanto dichiarato da Spagnoletti Corrado, comandante del pontone « Spartaco » all’epoca dello spiaggiamento della « Rosso », che presto` assistenza alla Smit Tak per le operazioni di « disincagliamento », nella parte in cui lo stesso ha riferito di ricordarsi che sulla paratia sinistra della nave c’era un taglio abbastanza grande fatto con la fiamma ossidrica da personale della ditta che stava effettuando i lavori, escludendo, anche in sede di audizione dinanzi alla Commissione, che potesse essere opera del mare.
La Commissione ha, inoltre, registrato la sopravvenienza di ulteriori elementi, rappresentati in larga parte da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, provenienti dalla criminalita` organizzata calabrese, i quali hanno riferito dell’esistenza di un pactum sceleris fra le cosche della ndrangheta ed affaristi del settore dei rifiuti, in virtu` del quale furono programmati e realizzati numerosi affondamenti di navi cariche di rifiuti tossici nei tratti marini calabresi (e soprattutto nello Ionio, che per le sue caratteristiche di profondita` , meglio si prestava a far definitivamente sparire le tracce della criminale impresa).
In particolare, i recentissimi avvistamenti di navi inabissate e di sagome – verosimilmente di natanti –, anche a notevole profondita`, come riferito nel corso dell’audizione resa alla Commissione dagli inquirenti della Procura di Paola, costituisce indiscutibile dato di riscontro, rilevante, se non per attribuire attendibilita` probatoria alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per affermare l’esistenza di un fenomeno, sulle cui cause (e sui cui effetti, soprattutto per l’eco-sistema interessato) deve essere fatta al piu` presto chiarezza.
Anche su tale versante, pertanto, questo organismo di inchiesta auspica che gli inquirenti, convergendo in una proficua sinergia investigativa, giungano ad individuare i luoghi oltraggiati e l’intera filiera criminale coinvolta, per consentire le opere di bonifica necessarie per la salute pubblica e l’integrita` ambientale dei siti interessati e, finalmente, affinche´, oltre alle navi, non si perda anche la memoria.”