Ascesa e caduta del Re Mida delle bonifiche

Ascesa e caduta del Re Mida delle bonifiche

Giovedì 25 Giugno 2009 01:00 Il Secolo XIX
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Chi è Gino Mamone, il principale accusato per lo scandalo delle aree dismesse di Genova Cornigliano.
La puzza vale oro, e quando non c'è si rischia di andare in crisi di astinenza. «Per un po', dopo che hanno demolito la raffineria, mi mancava proprio quella puzza sai? E anche l'altra volta, ero a Livorno, dove un tempo c'erano gli impianti...mi mancava la puzza, la puzza proprio». «Lo so Gino. Prima o poi scriveremo un libro: la nostra vita in mezzo ai rifiuti».


Prospetto de Il Secolo XIX
Ecco, la vita e i rifiuti e un mare di soldi. Gino Mamone ne parlava quasi fosse filosofia, con gli amici e gli imprenditori e i collaboratori più stretti. E non importa se erano le intercettazioni telefoniche di un'inchiesta su un traffico in stile Gomorra (dal quale uscirà quasi pulito) o le confidenze all'avvocato o la frustrazione sussurrata dopo che una Procura l'aveva messo sott'accusa. O, ancora, il vanto d'essere «amico di tutti» - Curia e politici inclusi con grande gaudio, tra loro il presidente della Regione Claudio Burlando e il sindaco di Genova Marta Vincenzi che oggi respingono freddi quel "calore" - nella prospettiva di spianarsi la strada.

Il Re Mida delle bonifiche genovesi, uno degli imprenditori più potenti e discussi del capoluogo ligure finito al centro d'una clamorosa inchiesta sulla spartizione degli appalti per lo smantellamento dell'ex Italsider, ecco Gino Mamone è un personaggio che oggi I l Secolo XIX prova a descrivere: fra exploit e zone d'ombra, efficienza e posti di lavoro garantiti a centinaia di famiglie, incrociati pure ad accuse di contatti mafiosi.

Chi è, davvero, Gino Mamone? Cos'è, davvero, la Eco.Ge? Sicuramente un'azienda che dà da mangiare a 150 dipendenti e fattura quasi 25 milioni di euro all'anno: «Ero partito da cento milioni di lire, siamo arrivati a questo ma se continuano a perseguitarmi chiudo baracca».

Disse così, un anno fa, quando i primi dossier dell'inchiesta sulle tangenti per le gare delle mense scolastiche nel capoluogo ligure (in cui non era indagato, mentre finì in carcere il suo civilista Massimo Casagrande, ex consigliere comunale diessino) ne certificavano contrattazioni "anomale", dando la stura agli accertamenti che l'hanno inguaiato adesso. Era il 22 maggio e per protesta a quello che riteneva un accanimento giudiziario, all'apertura dei 15 cantieri sparsi in tutt'Italia fece trovare i mezzi con le chiavi staccate dal cruscotto, giusto per far capire che lui non scherzava e in parecchi rischiavano di trovarsi in mezzo alla strada.

«Non ha mai scherzato sul lavoro - dice chiunque da lui sia stato retribuito - tranne quando si prendeva una pausa per raccontare barzellette ai pranzi aziendali, che di anno in anno sono diventati sempre più importanti e "allargati"».

Il rapporto, quasi fisico, quasi carnale con la terra e le macchine e il rumore e la polvere, quello l'ha avuto da subito. Una specie di enfant prodige, se si può chiamare così uno che a 14-15 anni era già in grado di manovrare la ruspa, dopo che a dodici il padre gli aveva fatto abbinare lo studio a sane sedute di pala e piccone. Perché il primo a fare un po' di fortuna è stato Luigi Mamone, che si portò la famiglia (e Gino che aveva un anno) da Cittanova in provincia di Reggio Calabria all'inizio degli anni '60, insendiandosi in Valpolcevera, cuore "genovese" che non abbandoneranno più. Tra i quartieri di Fegino, Borzoli, Bolzaneto, San Quirico e Serra Riccò ingranano costruzioni e compravendite immobiliari. E però il "botto", il business che bacia la famiglia sono le raffinerie, primi anni '90. Gino non è uno che mette su, come il papà, ma fa soldi buttando giù, ripulendo e bonificando e insomma: tutte le volte che c'è da radere al suolo o ramazzare in grande stile, be' lì ci pianta una bandierina: «Le raffinerie - ricorda in un'appassionata intervista al nostro giornale nel 2001 - le ho demolite io. Ho iniziato come muratore, è vero, ma quando sono arrivati gli anni difficili della crisi industriale e della dismissione, ho deciso d'investire in tecnologie per specializzarmi».

Il suo destino s'incrocia a nomi e amicizie tanto privilegiate quanto importanti: la Erg dei Garrone prima fra tutte, poi l'Ip, fra Genova e La Spezia. Il problema è che più si smaltisce roba, più carabinieri e magistrati drizzano le antenne. Come accade, per esempio, nel 2004, quando la Procura di Alessandria lo mette sott'inchiesta per i suoi fraterni rapporti con un altro calabrese, Franco Sofio, il titolare della "Sofio Elia sas". E lo ascoltano per ore e ore sbobinando conversazioni che ne descrivono, se non gli addebiti, almeno la personalità probabilmente molto più di tante illazioni.

Sofio, a quei tempi, gestisce un centro di stoccaggio-rifiuti a Pozzolo Formigaro, da dove li spedisce in una cava controllata da un'altra società a Castellazzo Bormida. Mamone sta lavorando come un pazzo, nello stesso periodo: sta risanando la ex "Continentale italiana" di Fegino e il vecchio stabilimento Ip della Spezia (l'operazione gli era stata subappaltata dal mastodonte "Foster Wheeler") e c'è un mare di terra da buttare. Il problema è che più di tanta, Franco Sofio non ne potrebbe ricevere: «Sono già fuori di 400 tonnellate - racconta al telefono con Gino che gli preannuncia l'invio, a pagamento, d'una nuova infornata di camion - ho paura che mi arrivi un controllo, mi serve un po' di tempo per smaltire tutto quello che proviene da Genova». Mamone non la prende bene: «Mi dispiacerebbe dover pagare qualcun altro», e la ruota gira così veloce che da qualche parte i rifiuti bisogna buttarli: «C'abbiamo un sacco di roba, un sacco di roba. È proprio un peccato...». Qualche giorno prima s'erano compiaciuti insieme con quella frase da incorniciare, sulla carenza di puzza e l'idea di scrivere il libro "La nostra vita in mezzo ai rifiuti".

Ora, non è un caso se fra tante carte queste sono state infine selezionate. Perché un anno dopo Mamone rischia grossissimo, come mai gli era accaduto prima o gli accadrà dopo: il pubblico ministero chiede di arrestarlo insieme a Sofio e ad altre sette persone (si chiamava "Operazione pesciolino d'oro"), ma il giudice per le indagini preliminari respinge la richiesta per Mamone (non per Sofio). Il motivo è semplice: mentre l'amico calabrese è sospettato di trafficare in materiali pericolosi, su Mamone i carabinieri hanno fatto un po' di confusione. E alla fine il problema non è quello che spedisce ad Alessandria, ma quanto. Nel senso che, pur sapendo dall'interlocutore che il suo deposito è ben più che a tappo, gli chiede di "ospitare" lo stesso le scorie perché non sa dove mettersele, tanto vanno a gonfie vele gli affari: un peccato veniale rispetto all'addebito di traffico illecito (archiviato in fretta e furia e pure qualche scusa da parte degli inquirenti), che gli costerebbe comunque un processo o una multa ma il reato s'è prescritto alla fine dello scorso dicembre, e non se ne farà nulla.

Nel frattempo Mamone, assistito dal suo avvocato "storico" Andrea Campanile - uno dei più autorevoli penalisti genovesi, che a sua volta è legale di fiducia della famiglia Garrone - aveva chiesto e ottenuto le telecamere del Tg3: «Mi vogliono rovinare per quattro camion di terra che ho mandato ad Alessandria».

Archiviato l'intoppo (frutto, è giusto ribadirlo, soprattutto del gran caos fatto dagli investigatori) a Genova il nome della Eco.Ge è ormai abbinato a qualunque demolizione o bonifica: «Faccio affari soprattutto con i privati», insiste da sempre l'amministratore unico. Industriali e capitani d'azienda come la famiglia Profumo (raffineria Iplom di Busalla) oppure "privati" un po' particolari: Rete ferroviaria italiana o CoopSette o la mista Sviluppo Genova. Nessuno si lamenta della qualità del lavoro, anzi. «Quando arriva Mamone - racconta oggi un funzionario proprio di "Sviluppo", la società che gestiva gli appalti per smantellare l'ex acciaieria finiti nell'occhio del ciclone - sembra che si presenti un esercito: i lavoratori perfetti, disciplinati. Le divise tutte uguali, gli elmetti, i mezzi nuovi e tirati a lucido. Nessuno che sgarra».

Lui vive di lavoro, a calpestare ghiaia pure in giacca e cravatta. Il problema è che quando respira un po' sul fronte investigativo, ci pensano i familiari a dargli grattacapi: il cognato Silvio Criscino, ex gioielliere, arrestato nel 2006 dai carabinieri del Ros che indagavano su un agghiacciante giro di usura ed estorsioni a imprenditori. E poi il fratello Vincenzo, invischiato nel 2003 in un fascicolo savonese per bancarotta e riciclaggio insieme all'ex moglie Tiziana Ostertag.

Anche qui, una storia da film. E la bellissima Tiziana (che si faceva ritrarre in interviste telematiche con abiti succinti e il libro "Mani pulite" fra le dita) a un certo punto decide di fare il grande salto. Rivela scenari inquietanti legati alla famiglia Mamone - Gino compreso - accostando esponenti della politica (rigorosamente bipartisan), famiglie legate alla ‘ndrangheta, società, aziende e banche genovesi, italiane e straniere. La Direzione distrettuale antimafia, per un certo periodo, la mantiene «protetta», ma il temperamento un po' troppo esuberante e scostante alla fine ne ridimensionano la credibilità, e la Dda (almeno ufficialmente) archivia.

Negli ultimi due anni, però, cadono le due tegole che più fanno infuriare Gino. Prima la Dia, la direzione investigativa antimafia, accosta in una generica relazione il cognome al clan calabrese dei Mammoliti: «Mamone in Italia ce ne sono tantissimi, cosa c'entro io?». Poi la Finanza, dodici mesi fa, circoscrive ribadendo che «Gino Mamone è stato segnalato per i suoi legami con la cosca della 'ndrangheta calabrese dei Mammoliti... E dalle telefonate emergono inequivocabilmente i rapporti con Vincenzo Stefanelli, detto Cecé, esponente della criminalità organizzata di stampo mafioso, titolare di un'impresa edile». Poche righe, e non è che le Fiamme Gialle abbiano mai spiegato meglio nei loro dossier che cosa, davvero, darebbe "sostanza" al sospetto più grave. Tuttavia la macchia brucia e Gino sbotta (primavera 2008): «Non siamo né mafiosi né delinquenti. Sennò come faremmo a lavorare indisturbati da 45 anni? Sarei più bravo di Totò Riina... Forse il nostro peccato è quello di essere calabresi. Sì, sono di Cittanova e ne sono orgoglioso». Come lo è quando la Caterpillar - un nome che a evocarlo fa pensare a cose enormi - costruisce per lui, e solo per lui, un escavatore record con un braccio lungo 48 metri e un nome da robot, «385C Demolition». All'inaugurazione, con annesso rinfresco e strette di mano a esponenti del centrosinistra locale, gli attivisti della "Casa della Legalità" (la onlus che da anni ne radiografa vita e miracoli) scattano foto e lo fanno imbestialire.

Poi però continua a coltivare amicizie, fare miliardi e rastrellare subappalti, finché - roba dei giorni scorsi - il pm Francesco Pinto non gli appioppa un avviso di garanzia per associazione a delinquere, accusandolo d'aver monopolizzato le bonifiche d'accordo con altri giganti come lui, oltre ad aver creato dei fondi neri «forse per corrompere funzionari pubblici». Un macigno.

La replica, e il nervosismo, sono i soliti: «Ho le certificazioni antimafia, i miei lavoratori mi amano (un anno fa per difenderlo organizzarono persino un sit-in) e siamo altamente professionali, fra i migliori del Paese. Perciò vinciamo». Lavoro e dipendenti (ben pagati) lievitati insieme ai sospetti. Qual è la verità?