I pm ipotizzano per ora un «allungamento del
calcestruzzo» finalizzato alla creazione di fondi neri. L'allerta
è stato poi amplificato dal procuratore della Repubblica di
Caltanissetta Sergio Lari: «Dobbiamo evitare che si prosegua con la
costruzione di opere pubbliche che potrebbero presentare profili di
non staticità». Insomma, a rischio di crollo.
Tra le forniture sospette ci sono anche quelle utilizzate per due
tratti della metropolitana: uno già in funzione (Principe-San
Giorgio), uno ancora in fase di costruzione (De Ferrari-Brignole).
Nel mirino della procura nissena, indagate per frode in commercio, ci
sono due società, la Calcestruzzi e la Italcementi.
Ora,
però, si apre un altro fronte. Quello del Museo del Mare, l'opera
che l'8 novembre del 2003 collassò travolgendo gli operai al
lavoro e uccidendone uno, il muratore albanese Albert Kolgjeja. Nel
processo di primo grado, che ha portato a una sola condanna, tra i
tanti imputati sono stati messi sotto accusa i pioli di sostegno
della struttura.
I documenti in possesso del
Secolo XIX sulle forniture di cemento, giunte proprio dalla
Calcestruzzi spa, danno nuova forza a una possibile
ricostruzione (per altro già espressa e sostenuta durante il
dibattimento dagli avvocati difensori): potrebbe essere stato un
impasto irregolare del cemento a causare quel collasso.
Nelle stesse ore in cui si apre questo nuovo clamoroso scenario,
nell'attesa del processo di appello per la tragedia della Darsena,
arriva a una svolta l'inchiesta della procura di Genova su un altro
crollo, altrettanto disastroso: quello del nuovo padiglione B della
Fiera del mare del capoluogo ligure, firmato da una star
dell'architettura mondiale, Jean Nouvelle, avvenuto lo scorso 9
aprile.
Il documento che il Secolo XIX
pubblica sulla destra di questa pagina è la consulenza tecnica
chiesta dal pm Sergio Merlo sul crollo al Museo del Mare. Gli esperti
formulano molte osservazioni critiche sulla qualità del calcestruzzo
utilizzato, anche se concludono che non fu quella la causa della
sciagura. Ma l'ipotesi dei magistrati siciliani potrebbe però
venir rafforzata da queste analisi ed è per questo che i carabinieri
di Caltanissetta hanno già chiesto di poter ottenere una copia della
perizia. Perché in primo luogo conferma che la fornitura (come
confermato in un allegato) fu ordinata il 10 giugno 2002 dall'impresa
Galata Scarl proprio «alla Calcestruzzi spa e alla Cemencal spa,
aziende preconfezionatrici di calcestruzzo (appartenenti alla
Italcementi Group) operanti in regime di qualità certificata».
In seconda battuta muove una lunga serie di rilievi alla qualità
del calcestruzzo utilizzato, com'è possibile comprendere meglio
nell'articolo pubblicato qui a destra: tutte le solette realizzate
avevano una resistenza inferiore a quella dichiarata. In particolare
la seconda, che è poi quella che ha ceduto, e ancor peggio la terza.
E anche i controlli che sono stati eseguiti in corso d'opera, che
ne hanno certificato la qualità, non sono poi stati confermati dalle
prove di compressione eseguite sui resti del crollo.
Ora gli inquirenti sono determinati a compiere verifiche a tappeto
in tutta Italia e Genova è una delle prime tappe: «Ci sono
centinaia di opere da verificare. In prima battuta per scongiurare
l'ipotesi di cedimenti improvvisi. Ma anche per comprendere,
comunque, se quel che è stato realizzato con denaro pubblico sia
sottoposto a un invecchiamento precoce, con la necessità di operare
interventi di ristrutturazione e di rinforzo ben prima dei tempi
previsti».
Il Secolo XIX ha poi
contattato Italcementi, l'azienda madre da cui dipendono le altre
sotto inchiesta. Questa la risposta: «Sulla tragedia del Museo del
Mare siamo assolutamente tranquilli, così come su tutta l'inchiesta
nel suo complesso. Il processo ha fino a oggi dimostrato che non è
stato il calcestruzzo, ma i pioli metallici di sostegno, a
determinare il crollo della struttura e tutte le perizie sono state
concordanti sull'insufficienza della struttura metallica a reggere
il peso delle solette».
Italcementi conferma poi la risposta del professor Alberto
Alessandri, del collegio di difesa della Calcestruzzi, diramata alle
agenzie di stampa nei giorni scorsi, quando la procura antimafia di
Caltanissetta ha disposto il sequestro dei lotti 9 e 14
dell'Autostrada Valdastico in provincia di Vicenza: «La società
esprime la propria serenità in ordine agli accertamenti in corso da
parte della Procura ed alla correttezza della documentazione». E
sulle perizie in corso su opere pubbliche realizzate in Sicilia:
«L'incidente probatorio ad oggi non ha affatto dato conferma
dell'ipotizzata compromissione della stabilità statica delle opere
siciliane indagate e sequestrate nel 2007, ma anzi ha sinora fornito
risultanze che consentono a questa difesa di guardare con fiducia ai
suoi esiti».
Marco Menduni
Crollo del MuMa, parla l’unico
condannato: «In quel materiale, qualcosa non andava»
Elisabetta Vassallo
Il calcestruzzo utilizzato per realizzare il Museo del Mare era
stato fornito dalla Calcestruzzi spa, che fa parte del gruppo
Italcementi: società indagate per frode in commercio dai magistrati
della procura antimafia di Caltanisetta. Dall'inchiesta aperta
ormai quasi un anno fa dai pubblici ministeri della Dda la
Calcestruzzi spa avrebbe fornito materiale scadente a varie imprese
italiane impegnate in realizzazioni pubbliche. Tutto ciò emerge cinque anni dopo il crollo del Galata, il Museo del Mare allora in costruzione, sotto le cui macerie perse la vita l'operaio albanese Albert Kolgjeja. E affiora poche settimane dopo la sentenza di condanna di uno dei progettisti del museo, l'ingegner Andrea Pepe, ritenuto dal tribunale il solo responsabile dell'accaduto. La perizia della pubblica accusa - l'unica presa in considerazione dal giudice, che non ha ritenuto di disporne una propria - indica come causa del crollo l'utilizzo di pioli in acciaio non sufficientemente lunghi e resistenti per collegare le colonne della struttura alle solette in cemento armato. Il calcestruzzo quindi, secondo quanto è emerso durante il processo di primo grado, sarebbe stato a norma. Vicenda conclusa? Nonsotto tutti i punti di vista. Andando a rileggere alcuni brani della stessa perizia firmata dagli ingegneri Lamberto Panfoli ed Ermanno Maggiorelli il calcestruzzo utilizzato per armare il secondo piano della struttura, proprio quello che è successivamente crollato, era molto meno resistente rispetto a quello richiesto. L'impresa costruttrice aveva ordinato infatti a due società legate al gruppo Italcementi, di cui una proprio la Calcestruzzi, una fornitura di materiale la cui resistenza fosse di trecento chilogrammi per centimetro quadrato. Dagli accertamenti predisposti dai periti sulle macerie del crollo è invece emerso che il calcestruzzo utilizzato per armare il primo piano della struttura aveva una resistenza di duecentocinquanta chilogrammi per centimetro quadrato e quello utilizzato per armare il secondo piano (quello venuto giù come un castello di carte) era invece di duecento: aveva quindi una resistenza di un terzo più bassa rispetto a quella richiesta. Un dato al quale, secondo l'unico condannato in primo grado, non è mai stata data l'importanza che forse poteva avere. Come mai? «In effetti l'argomento cemento è stato archiviato molto in fretta - spiega l'ingegner Andrea Pepe, direttore dei lavori del Museo del Mare e progettista di una sua parte - ma in realtà a noi addetti ai lavori, studiando il materiale crollato, sono venuti molti dubbi. Quel calcestruzzo, secondo le nostre ricostruzioni, aveva qualcosa che non andava. Anche osservando con attenzione le fotografie che sono state scattate alle macerie, si vede che le barre di acciaio della struttura erano "pulite", del tutto staccate dal cemento, mentre avrebbero dovuto essere "incollate" ad esso. Lo dimostra anche il fatto che i solai di cemento che sono crollati erano divisi in due: il che significa che le due gettate di calcestruzzo non si erano mai solidificate tra loro, restando così molto meno resistenti di quello che avrebbero dovuto». Prosegue ancora Andrea Pepe: «In edilizia è determinante che i solai siano monolitici: quello crollato invece era spaccato in due. Per quale motivo non è mai stato accertato. L'impressione era che in quel calcestruzzo ci fosse qualche strano adittivo che non lo aveva fatto amalgamare come avrebbe dovuto. Se il tribunale avesse predisposto una sua perizia, forse sarebbe stato possibile fare chiarezza». Su questo nuovo scenario si giocherà, con tutta probabilità, il processo di appello. Anche se la perizia di primo grado, quella voluta dalla Procura, ha sì riscontrato una minor resistenza del dichiarato del calcestruzzo utilizzato, ma ha poi spiegato che quell'«insufficienza» non poteva essere una concausa del crollo. Contattato dal Secolo XIX, l'ingegner Panfoli ha commentato seccamente: «Se abbiamo scritto quelle cose, vuol dire che ne eravamo convinti».
4.12.2008 - Il Secolo XIX |
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